Risposta:
La teologia della croce, o theologia crucis, è un termine coniato dal teologo tedesco Martin Lutero per riferirsi alla convinzione che la croce sia l’unica fonte per conoscere spiritualmente chi è Dio e come salva. Solo sulla croce l’essere umano decaduto comprende il risultato della presenza dello Spirito Santo al momento della conversione (1Corinzi 12:13; Romani 8:9; Efesini 1:13-14). La teologia della croce si contrappone alla teologia della gloria, o theologia gloriae, che pone maggiore enfasi sulle capacità umane e sulla ragione umana. Lutero usò per la prima volta il termine theologia crucis nella disputa di Heidelberg del 1518, dove difese le dottrine della Riforma sulla depravazione dell’uomo e sulla schiavitù della volontà al peccato.
La differenza principale tra la teologia della croce e la teologia della gloria è la capacità o l’incapacità dell’uomo di giustificarsi davanti a un Dio santo. Il teologo della croce considera inviolate le verità bibliche sull’incapacità dell’uomo di guadagnarsi la giustizia, sull’impossibilità per l’uomo di aggiungere o accrescere la giustizia ottenuta dal sacrificio di Gesù sulla croce e sull’unica fonte di giustizia dell’uomo che proviene dall’esterno di noi stessi. Il teologo della croce concorda pienamente con la valutazione dell’apostolo Paolo sulla condizione umana: “Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene” (Romani 7:18). Il teologo della croce rifiuta l’idea che l’uomo possa raggiungere la giustizia in qualsiasi misura osservando le opere della legge, ma è salvato e santificato unicamente dalla grazia (Romani 3:20; Efesini 2:8-9).
I teologi della gloria, invece, vedono il bene negli esseri umani e attribuiscono loro la capacità di fare il bene che è in loro. Credono che, dopo la caduta, sia rimasta la capacità di preferire il bene al male e di scegliere il bene. In particolare, la teologia della gloria sostiene che gli esseri umani non possono essere salvati senza partecipare o cooperare con la giustizia data da Dio. Si tratta del classico dibattito opere vs. fede che è stato a lungo alimentato da un fraintendimento di alcuni passaggi del libro di Giacomo. Giacomo 2:17-18 viene interpretato nel senso che siamo giustificati dalle nostre opere, mentre in realtà Giacomo sta dicendo che coloro che sono stati giustificati dalla fede nell’opera di Cristo sulla croce produrranno buone opere come prova della vera conversione, non che la conversione si ottiene con le buone opere.
Va notato che la teologia della croce non è un concetto sentimentalistico secondo il quale Gesù è reso più affascinante dal fatto che Si identifica con le nostre prove e tribolazioni. Sebbene Gesù Si identifichi certamente con la nostra sofferenza, la nostra sofferenza non è in qualche modo resa più nobile a causa di ciò. La nostra sofferenza è il risultato della caduta dell’umanità nel peccato, mentre la sofferenza di Gesù è stata quella di un agnello innocente sgozzato per il peccato degli altri, non per il Suo. La teologia della croce non è nemmeno l’identificazione con la Sua sofferenza attraverso la nostra, che non ha nulla a che vedere con ciò che ha passato Lui. In ultima analisi, Gesù ha sofferto ed è morto perché nessuno si è identificato con Lui. Il popolo gridava: “Crocifiggilo!”. Uno dei Suoi discepoli Lo tradì, un altro Lo rinnegò tre volte e gli altri Lo abbandonarono e fuggirono. Morì solo, abbandonato persino da Dio. Cercare di unirci a Lui nella Sua sofferenza significa quindi sminuire il Suo sacrificio ed esaltare le nostre sofferenze a un livello mai voluto dalla teologia della croce proposta da Lutero.